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I dischi dinamici (o volumi dinamici) di Microsoft Windows sono un livello di astrazione (introdotto per la prima volta in Windows 2000) delle partizioni e del layout “fisico” del disco (per certi versi sono simili allo strato LVM dei sistemi Linux) con il compito di disaccoppiare il livello delle partizioni da quelli dei volumi (e quindi dei filesystem NTFS). L’obiettivo è fornire una maggiore flessibilità, come, ad esempio, la possibilità di estendere a caldo un volume semplicemente aggiungendo nuove partizioni.

Ma in un ambiente virtuale vi possono essere altre strade per ottenere lo stesso livello di flessibilità, come ad esempio usare la funzione di estensione a caldo dei dischi virtuali direttamente a livello dell’hypervisor (VMware ha introdotto questa funzione in VI 3.5U2)…

C’è quindi bisogno dei dischi dinamici in un ambiente virtualizzato? Di solito no… L’unico requisito è che il guest file system supporti l’estensione a caldo: nei sistemi Windows questo è gestibile dalla GUI in tutte le versioni recenti (a partire da Vista, alias NT 6.0), mentre ha qualche limitazione (ad esempio non per il disco di sistema, o almeno non senza ricorrere ad strumenti terzi) e solo da command line (tramite il comando diskpart) per i sistemi più datati (come XP e 2003).

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Visto che il periodo dell’esame VCP5-DT beta si è appena concluso, volevo aggiornare le mie considerazioni sugli esami beta di VMware (il mio primo post a riguardo risale a circa un anno fa).

Esami in beta ed esami “regolari”

Gli esami in beta sono in un breve periodo prima dell’uscita dell’esame finale. Negli esami in beta vi sono più domande (molte di più) ma anche più tempo a disposizione per rispondere e commentare le domande. Anche l’iscrizione è diversa (di solito su invito) e non è previsto alcuna possibilità di ri-sostenere l’esame beta.

Rispetto a molti esami normali, il risultato dell’esame beta non si conosce dopo l’esame stesso, ma dopo settimane (o mesi). Un pass nell’esame beta corrisponde ad un pass nell’esame ufficiale (ma con la data dell’esame beta, quindi con largo anticipo).

I vantaggi per VMware

L’esame beta rappresenta un modo per testare l’esame stesso, verificare e controllare le domande, la loro difficoltà, la loro copertura, stimarne il numero e la durata dell’esame finale… tutti aspetti fondamentali per la buona riuscita…

Oltre a questo, secondo me, servono anche i giusti tempi, sia in termini di durata dell’esame beta, sia in termiti di elaborazione e affinazione dei dati ottenuti prima di passare all’esame finale. Il tutto ovviamente rapportato ai tempi di rilascio dei nuovo prodotti.

La difficoltà delle domande (e la loro variabilità) può contribuire alla “serietà” di un esame di certificazione… ma può non bastare negli esami a risposta multipla. Questo a causa dei vari brain-dump o anche alla possibilità di copiare o dialogare tra i diversi candidati presenti ad un esame. Almeno quest’ultimo problema più facilmente essere risolto, più che con un controllo ossessivo dei responsabili del testing center, con una durata dell’esame calibrata in modo da lasciare giusto il tempo a rispondere alle domande…

Garantire un buon livello di un esame (e la sua integrità) contribuisce ad aumentare il valore della relativa certificazione.

I vantaggi per l’utente

  • Occasione per testare la propria capacità su un numero maggiore di domande.
  • Occasione di vedere le probabili domande dei test finali… anche se non si passa l’esame in beta sarà comunque un vantaggio per l’esame finale.
  • Opportunità di essere tra le prime persone certificate.
  • Il costo dell’esame beta è minore dell’esame finale (per alcuni vendor può persino essere gratuito).
  • Partecipare ad una beta permette di contribuire a migliorare l’esame finale.
  • In alcuni casi è più facile passare l’esame in beta (più domande possono voler dire più opportunità…).
  • Secondo me, passare un esame beta aumenta il valore della certificazione… quello che è certo è che chi l’ha passato l’ha fatto con le sue capacità (visto che non possono ancora esistere brain-dump). Con questo non voglio dire che chi passa l’esame finale lo fa “barando” (il problema riguarda sicuramente una solo minoranza).

Cosa non va e come si potrebbe migliorare?

Di solito i vantaggi descritti sono sufficienti o quanto meno compensano gli svantaggi… Ma tutto è perfettibile:

  • Fee: potrebbe essere free, ma personalmente concordo con la scelta di VMware di applicare comunque una fee. Questa può essere un deterrente per chi vuole solo “tentare” l’esame, lasciando, forse, più posti per le persone davvero interessate. Quello che forse sarebbe utile definire è quale sia la percentuale di sconto (per me, andrebbe bene un 75% ) e magari tenere fissa questa percentuale o almeno cercare di garantire che successivamente (nell’esame finale) non vi siano promozioni con lo stesso sconto (era successo ad esempio nell’esame VCAP4-DCD).
  • Durata: più di 4 ore sono decisamente troppe (ma per il VCAP-DCA probabilmente sarebbero necessarie, almeno per compensare eventuali problemi o rallentamenti del lab). L’aspetto spiacevole è che in molti testing center, durante quel periodo non viene lasciata neppure la possibilità di tenere un bicchiere di acqua (e mi è capitato d’estate… senza l’aria condizionata).
  • Modalità: l’esame deve rispecchiare quello che sarà poi l’esame finale. Se vi sono restrizioni o limitazioni particolare, secondo me, vanno comunicate prima. Ad esempio nel beta del VCAP4-DCD non vi era la funzione di “review”… peccato che io la usi spessissimo (anche in virtù del mio scarso inglese)… la mancanza di questa funzione mi ha fatto perdere molto tempo in più e pure sbagliare alcune domande (causa fretta).
  • Location: capisco che per gli esami VCAP si richieda un testing center “con alto livello qualitativo” (ma poi perché anche per il “tradizionale” esame VCP-DT?!)… Ma questo limita tantissimo la partecipazione agli esami beta sia perché in alcuni paesi vi sono pochissimi centri (non capisco come sia possibile che in Italia ve ne sia solo uno che in fondo è uguale a tutti gli altri) e pensare di farsi un viaggio di più di 1000Km non è sempre facile. Ma peggio ancora se i pochi centri disponibili sono già occupati per tutto il periodo della beta… questo è inammissibile e discriminatorio. Se c’è una beta un numero minimo (maggiore di zero) di posti dovrebbe essere garantito per ogni nazione.
  • Periodo: 2-3 settimane per la beta potrebbero essere sufficienti… sicuramente una sola settimana è troppo poco. Ma anche due sotto le feste potrebbero essere insufficienti (come capitato con il VCP5-DT).
  • Preavviso: non ha senso mandarlo il giorno in cui inizia la beta… se si vuole che sia preparata in modo serio bisogna lasciare almeno 1-2 settimane di preavviso in modo da studiare e organizzarsi con gli impegni lavorativi. Abbinando questo problema a quello dei testing center che in certi periodi (vedi sotto le feste e/o sotto determinate scadenze) sono completamente pieni, si capisce che è necessario in minimo di pianificazione.
  • Participanti: concordo sulla scelta di avere inviti e voucher nominali (questo per evitare fenomeni di partecipazione di massa, come successo ad esempio con l’esame beta di Windows 7 dove i posti si sono esauriti in poche ore), ma una maggior trasparenza sulla scelta dei particanti secondo me non guasterebbe. Ad esempio si legge (nel sito delle certificazioni VMware) che un beneficio delle certificazioni VCAP e VCDX è “invitation to participate in select beta classes and exams”. Ma non è sempre stato applicato… Più equo o almeno più realistico potrebbe essere scegliere i partecipati tra quelli coinvolti nella beta del relativo prodotto.
  • Risultati: va bene che è necessario un po’ di tempo per elaborarli, ma ritento inaccettabile che siano inviati dopo che l’esame finale è stato rilasciato. Se è stato rilasciato gli esami beta sono già stati analizzati, quindi perché non inviarne i risultati? Ricordo l’assurdo accaduto con il VCP4, dove i risultati degli esami sono stati rilasciati poche settimane prima della scadenza per periodo di upgrade “senza ulteriori corsi” (periodo che poi era stato esteso, ma comunque era sbagliato il principio). Ho sentito anche di grossi ritardi nei risultati VCP4-DT, mentre devo dire che per il VCP5 sono stati relativamente “veloci”.

 

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In ESXi lo schema delle partizioni è automaticamente definito in fase di installazione e, a differenza del vecchio ESX, non può essere modificato (l’unica scelta è dove installare l’hypervisor). Per maggiori informazioni sul tipo di partizioni, sulla loro dimensione e utilizzo, Rickard Nobel ha realizzato un ottimo post: ESXi 5 partitions. In questo post però non descrive il metodo per verificare l’effettivo schema di partizioni (a parte i metodi ovvi di partire con una distribuzione live o analizzare le partizioni da un altro sistema operativo).

Per vedere il layout delle partizioni del disco di sistema di ESXi 5 il vecchio comando fdisk non può più essere utilizzato, o almeno non sulle nuove installazione, dove viene utilizzato lo schema GTP anziché quello MBR (come scritto nei precendenti post sull’aggiornamento di VMFS un disco MBR esistente viene aggiornato a GPT solo se il disco viene esteso a più di 2 GB).

La nuova utility per i dischi GPT si chiama partedUtil ed ha una sintassi diversa. Per visualizzare la tabella delle partizioni con questo comando i passi da compiere sono:

  • Prima di tutto bisogna individuare, nella directory /dev/disks, il nome del disco di sistema (anche senza guardare la dimensione sarà facile, visto che in una buona installazione sarà l’unico con più di una partizione):

  • A questo punto si può usare l’opzione get (o meglio ancora getptbl) per visualizzare la tabella della partizioni (da notare che la semplice dimensione delle partizioni era già visibile nello screenshot precedente):

Come si nota dall’esempio sono utilizzate 7 partitioni:

  • Partition 1: systemPartition 4MB
  • Partition 5: linuxNative 250MB -> /bootbank
  • Partition 6: linuxNative 250MB -> /altbootbank
  • Partition 7: vmkDiagnostic 110MB
  • Partition 8: linuxNative 286MB -> /store
  • Partition 2: linuxNative 4GB -> /scratch (non presente se ESXi viene installato in disco o flash con capacità limitata)
  • Partition 3: VMFS datastore (non presente se ESXi viene installato su una flash)

Come si può notare un’installazione minima trova agilmente posto in una flash di 1 GB. E’ curioso come le partizioni che sono identificate come linuxNative in realtà sono semplicemente formattate FAT (come anche riportato dal comando df).

Come scritto nel post di Richard, il footprint di ESXi 5 è aumentato a circa 124MB, rispetto ai 70MB della versione 4.1 o ai soli 32MB della prima versione 3.5. Rimane comunque una dimensione contenuta.

Per chi è curioso riguardo il vecchio schema delle partizioni consiglio If VMware ESXi 4 is so small, why is it so big? e sopratto The VMware ESXi 4 64MB Hypervisor Challenge (dove viene illustrato il principio con i quale fare un’installazione veramente minimale).

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Come molti sapranno o avranno notato, nei nuovi ESXi molti dei comandi della vecchia service console sono spariti, sia perché la nuova console (ESXi shell o TSM technical support mode console) è minimale, sia perché molti sono confluiti nel nuovo comando esxcli di ESXi 5.

Uno dei comandi che già era sparito in ESXi 4.1 è il vecchio vmware-cmd (esistente già ai tempi di VMware Server 1.0). Al suo posto è stato introdotto il comando vim-cmd con diverse opzioni e funzionalità (per maggiori informazioni vedere il post di William Lam: VMware vimsh and vim-cmd).

Uno degli utilizzi più tipici di vmware-cmd era quello di controllare dalla console o da SSH lo stato delle VM e gestire manualmente la loro registrazione. Situazione che ovviamente può essere gestita dal vSphere client e/o da PowerCLI e/o da vMA, ma in un sistema standalone, potrebbe essere più comodo (o in alcuni casi necessario) gestirlo direttamente dal server.

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Nelle ultime ore sono stati rilasciati nuovi View Client per alcune piattaforme, come anche riportato poco fa dall’annuncio ufficiale: New VMware View Clients for the Holidays – Mac, Linux, iPad and Android!

View Client of iPad

http://www.vmware.com/it/products/desktop_virtualization/view/ipad-client.html

Nuova versione 1.3.0 (del 16 dicembre) con:

  • Connect iPad to up to 1080p (1920×1080) external displays and TVs and leverage Presentation Mode to view more of your View virtual desktop
  • Support for virtual higher resolutions to scroll a larger screen resolution display on a smaller resolution screen
  • Improvements to PCoIP bandwidth usage
  • Numerous bug fixes

View Client of Android

http://www.vmware.com/it/products/desktop_virtualization/view/android-client.html

Nuova versione 1.3.0 (del 15 dicembre) con:

  • All new tablet interface to take advantage of the Honeycomb and later action bar
  • Improved support for lower resolution Android devices with easier desktop selection
  • Improvements to PCoIP bandwidth usage
  • Support for virtual higher resolutions to scroll a larger screen resolution display on a smaller resolution screen
  • Numerous bug fixes

View Client of Mac OS X

In realtà non c’è nessuna nuova versione ufficiale, ma un nuovo View Client Tech Preview con support PCoIP per Mac OS X. Per ottenerlo bisogna disporre di un account VMware.com ed andare nella relativa pagina di download.

Le nuove funzionalità di questo client sono:

  •  PCoIP protocol optimized for VMware View 5 (previos versions have only the RDP protocol)
  • Full screen support for Mac OS X Lion users
  • Copy and Paste plain text between View 4.x virtual machines and Mac. Copy and Paste text, formatted text, and graphics between View 5.x virtual machines and Mac
  • Support optional RSA authentication
  • Enhanced certificate checking

View Client with PCoIP for Linux

Infine nel sito viene finalmente annunciata la (prossima) disponibilità del nuovo VMware View Client per Linux con supporto PCoIP (al momento era possibile averlo o con thin client certificati o con soluzioni non proprio “ortodosse”):

Making it easy to install, it will soon be available in the Ubuntu Software Center (a little later this month). Just launch the Ubuntu Software Center and search for VMware View to download and install the VMware View client.

 

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Una best practice è un metodo o tecnica che permette di ottenere i risultati migliori (a seconda del parametro di valutazione). Ovviamente una buona best practice deve essere adattativa ed evolversi al variare delle condizioni al contorno (ad esempio al variare della tecnologia).

Ma, come viene descritto in modo semplice e chiaro da Frank Denneman in un suo post, le best practice non sono mai da prendere come valore assoluto, poiché dipendono da ogni specifico caso e quindi andrebbero considerate più che altro pratiche consigliate e/o suggerite da applicare, ma con cognizione di causa.

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Come scritto nei post precedenti, è possibile installare Dell OMSA su un server ESXi 5 tramite VUM o tramite la command line. Ma per poi riuscire ad usarlo è necessario disporre di un’installazione completa di OMSA (o almeno della sua parte web) che funzioni da “proxy server”. In molti casi può essere un server fisico già esistente, come ad esempio il backup server. Ma quando anche il backup server è virtuale e non sono disponibili altri server?

Usare un PC purtroppo non è un’opzione, visto che il sistemi operativi client NON sono supportati dalla parte web server di OMSA (in realtà sembra che funzioni, ma poi fallisce miseramente con un internal error alquanto criptico). Dell comunque conferma che non sono supportati (dove non supportato significa proprio che non funziona).

Ma anche usando un sistema operativo supportato (come ad esempio Windows Server 2008 R2), se non è in sistema fisico e questo non è un sistema hardware supportato, l’installazione di OMSA si ferma durante il check iniziale. Esistono tante soluzioni su come escludere questo check, alcune sono incredibilmente complicate. Tra le tante questa è decisamente la più semplice.

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